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Draghi premiato dalla Nato

Da un articolo de La Voce di New York scopriamo che domani, 11 maggio, Mario Draghi verrà insignito a Washington del Distinguished Leadership Award, riconoscimento conferito dall’Atlantic Council (think tank della Nato).

Premio assegnato ogni anno a persone che hanno contribuito a “influenzare insieme il futuro globale”. Draghi sarà premiato insieme a Claudio Descalzi – amministratore delegato di Eni – e due rappresentanti dell’Ucraina: l’ambasciatrice di Kiev a Washington Oksana Markarova e la cantante Jamala, vincitrice di Eurovision 2016…

Lo scorso anno il premio fu conferito a Ursula von der Leyen e Albert Bourla AD di Pfizer, i due che si scambiavano sms segreti in piena pandemia. Ognuno tragga le sue conclusioni.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-distinguished_leadership_award_draghi_premiato_a_washington_dalla_nato/29278_46240/

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Lo Stato

“Qui da noi “stato” si scrive con la S maiuscola e si finge di considerarlo una divinità, ignorando che è una mera finzione giuridica. Lo stato sarebbe nulla senza gli uomini politici che lo animano, e costoro non sono superuomini. Sono uomini come gli altri, ma più pericolosi perché dotati di più potere, fra cui il potere fiscale di portar via e usare il denaro degli altri, a palate. Lo fanno, dicono, per “il bene comune”. Però l’unica definizione di bene comune e di interesse generale è tautologica: è quel che fanno i politici al potere, qualunque cosa facciano, compreso il rubare ai poveri per regalare ai ricchi.
Se li eleggiamo si vantano di “rappresentare il popolo”, altro esempio di linguaggio ingannatore. Il popolo di cui parlano è quello dei loro clienti conniventi, che partecipano alla spartizione del bottino.”

Sergio Ricossa (1927-2016), Il Giornale, 1999

Pubblicato in: Attualità

Continua la RUSSOFOBIA

Evgenij Solonovich, il più importante italianista russo traduttore di Dante, Petrarca, Ariosto, Montale e Anna Jampol’skaja, celebre italianista russa, sono stati esclusi dal comitato organizzativo del Premio Strega perché di origine russa. La decisione, già di per sé assurda, è ancora più grave perché avvenuta indipendentemente dalla volontà degli organizzatori del premio ma per una scelta politica da parte del Ministero degli Esteri italiano che coordina la partecipazione degli Istituti italiani di cultura al Premio Strega. Per quale motivo uno studioso deve essere escluso da un premio letterario per il solo fatto di essere russo? La politica resti fuori dalla cultura.

Pubblicato in: Sui vaccini

PRIMO CONVEGNO DELL’ASSOCIAZIONE “DANNI COLLATERALI”

Domenica 6 maggio, si è tenuto a Roma il primo convegno sui danni collaterali dati dai vaccini. Al convegmo sono presenti professionisti di vari settori e tra questi anche il Dott. Giovanni Frajese il quale, di recente, è stato come altri sospeso dall’ordine dei medici non perché abbia mancato di soccorrere persone malate, anzi, ma perché non si è piegato al ricatto vaccinale; ma noi siamo in democrazia, di cosa ci meravigliamo?

Consiglio caldamente l’ascolto dei vari interventi perché li ritengo preziosi ed è importante divulgarli perché i danneggiati da vaccino ESISTONO, sono una REALTÀ, ma si fa finta di non vederli, trovandosi quindi soli e abbandonati dai medici e dallo Stato dopo essere stati pressati in tutti i modi.

Il convegno nei video è diviso in due parti, è lunghetto, ma veramente ne vale la pena.

Pubblicato in: Attualità, Passato

Le famose fosse comuni

Di Maurizio Vezzosi, fotoreporter

Come ho già scritto, negli ultimi giorni ho visitato entrambi i luoghi – Stary Krim e Mangush – dove secondo l’ormai – de facto – ex sindaco di Mariupol si troverebbero fino a novemila vittime civili sepolti in presunte fosse comuni: per quello che mi è dato sapere nessun altro giornalista italiano ha visitato, almeno fino a l’altro ieri, i luoghi in questione.

Nell’ultima puntata di Controcorrente è andato in onda un servizio sul tema delle presunte fosse comuni con la mia firma e alcune delle mie immagini. L’altro nome con cui è stato firmato il servizio è quello di Gianni Sileo, giornalista che non conosco e con cui mai ho collaborato. Non so dire se la voce del servizio sia sua o di un’altra persona: quel che è certo è che. per ragioni a me non note, nessuno della redazione di Controcorrente ha tenuto conto di quanto da me rilevato sul campo e da me riferito prima di mandare le immagini per il servizio.
Non appena rientrato da Mangush ho avvertito la redazione del fatto che utilizzare l’espressione “fossa comune” risultasse del tutto improprio e che le sepolture in questione riguardassero un cimitero. Ma paradossalmente, il servizio firmato con il mio nome spiega che a Mangush “e’ stata trovata un’enorme fosse comune con centinaia di corpi, di uomini donne e bambini che sarebbero stati uccisi o morti di stenti senza cibo né acqua per oltre un mese” senza chiarire su quali fatti si basino queste affermazioni, o meglio lasciando intendere di averle ricevute dal proprio inviato, ossia da me.

Il montaggio del servizio – curato dalla redazione – non ha lasciato spazio ad alcun mio racconto dei fatti, omettendo che si tratta di due aree cimiteriali, che si tratta di sepolture individuali, che tra le persone sepolte ci sono anche militari ucraini caduti in battaglia, che non c’è stata alcuna esecuzione di massa deliberata o episodio analogo, che non c’è alcun indizio che indichi l’intento di occultare le vittime sepolte, che i numeri delle sepolture sono ben diversi da quelli di cui ha parlato l’ormai ex sindaco di Mariupol Vadim Boychenko: numeri nei fatti inferiori alle mille sepolture complessive, tra il cimitero di Mangush e quello di Stary Krim. Un numero che certamente non corrisponde al numero totale delle vittime della battaglia di Mariupol, sepolte anche in aiuole, giardini condominiali e spartitraffico, e in parte ancora in attesa di trovare sepoltura.
Vale la pena ricordare che Vadim Boychenko è fuggito da Mariupol prima che cominciasse l’attacco russo – a febbraio -, che quindi non si trova a Mariupol da oltre due mesi e che non ha mai chiarito quali fonti avvalorino le sue dichiarazioni e quelle del “Consiglio municipale di Mariupol” che fa a lui riferimento.
Le immagini che ho fatto avere alla redazione includono le interviste con due donne che si stavano prendendo cura delle tombe dei propri cari nel cimitero di Mangush: evidentemente la redazione di Controcorrente non le ha ritenute significative.
A Stary Krim, dove si trova il principale cimitero di Mariupol, ho potuto assistere ad alcune delle sepolture in questione ed intervistare un operaio che se ne stava occupando.
Mancando di dare i minimi ragguagli sulle presunte “altre duecento fosse comuni rinvenute”, il servizio si giova della mia presenza in loco per avvalorare le dichiarazioni di una delle parti coinvolte in questo conflitto e dare conferma della loro validità assoluta ed evidentemente indiscutibile,
Professionalmente è del tutto inaccettabile che il mio lavoro da inviato sul campo venga utilizzato tacendo su un’evidenza palese e venga al contempo distorto per dare conferma di una versione dei fatti priva di fonti e di qualunque ragionevole fondamento. Sono convinto che l’accaduto sia del tutto slegato dalla volontà dei vertici di Rete 4 e ancor più da quelli dell’azienda a cui fa riferimento il canale.

Particolarmente spiacevole per me è che questa vicenda si consumi ad una settimana dalla decontestualizzazione di una parte del mio precedente servizio per la medesima trasmissione, servizio che si proponeva di raccontare, insieme al presente, la strage di Mariupol del 2014.
L’accaduto costituisce l’ennesima forzatura narrativa sulle vicende ucraine: una forzatura che contribuisce ad alimentare un clima volto a compromettere la possibilità di una qualunque soluzione diplomatica, e con questa, l’auspicabile fine della guerra.
Insieme a queste considerazioni intendo ribadire che non esistono guerre gentili o raffinate.
La tragedia di Mariupol, come quella dell’intero Donbass e dell’intera Ucraina, poteva e doveva essere evitata. Professionalmente, e umanamente, ho il dovere di fare tutto quello che è nelle mie possibilità per scongiurare nuove tragedie: molto più semplicemente, ho il dovere di dire la verità.

Nella foto: l’anziana che ho intervistato al cimitero di Mangush. Sullo sfondo le sepolture che l’ormai ex sindaco di Mariupol ha definito fosse comuni.

Maurizio Vezzosi
Italian freelance analyst, reporter


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LE FOSSE COMUNI… NON LE ABBIAMO GIÀ INCONTRATE?

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L’episodio che più impatto ebbe sull’opinione pubblica italiana e occidentale fu il ‘massacro di Timisoara’ del Natale del 1989. Per giorni si parlò di un vero e proprio eccidio costato la migliaia di civili inermi, passati per le armi dalle truci milizie del regime nella città romena, e le immagini di ‘migliaia’ di cadaveri sepolti in una ‘fossa comune’ fecero più volte il giro del mondo diventando il simbolo di quanto accadeva in uno dei paesi dell’Europa orientale che si stava liberando dall’odiato comunismo di stampo sovietico. Ad un certo punto comparve anche un filmato che mostrava i primi corpi riesumati con evidenti tracce di “torture spaventose”; i cadaveri avevano in comune un taglio malamente ricucito che andava dal collo all’inguine…
Il presunto eccidio del Natale del 1989 a Timisoara, ‘incontrovertibilmente vero’ in quanto raccontato dalle tv e dai giornali di tutto il mondo con ‘testimonianze particolareggiate’ ed immagini a profusione, in poche settimane venne smascherato e divenne una delle bufale più inquietanti nella storia del giornalismo.
I cadaveri ritratti erano solo 13 ed erano morti di morte naturale. I segni delle torture erano in realtà conseguenza delle autopsie praticate da un medico legale. Niente stragi, niente fosse comuni. Il 24 gennaio del 1990 una tv tedesca e la France Press denunciarono la messa in scena: “Tre medici di Timisoara hanno affermato che i corpi di persone decedute in modo naturale sono stati prelevati dall’istituto medico legale e dall’ospedale per essere esposti alle telecamere come vittime della Securitate”.

Ma l’industria internazionale delle bufale non si diede per vinta, avendo sperimentato la facilità con cui qualche agenzia di stampa e qualche fotoreporter possono di punto in bianco, in assenza di prove e di conferme incrociate, creare un caso e mobilitare le opinioni pubbliche. E quindi fornire ai governi e agli Stati Maggiori di Washington e dell’Unione Europea il là per potersi imbarcare in bombardamenti umanitari, invasioni preventive, occupazioni democratiche.

Paradossalmente la censura, la verve propagandistica parca di notizie e il dilettantismo tipici dei media del paese preso di mira dalla ‘disinformatia’ contribuiscono a concedere credibilità alle esagerazioni e alle invenzioni prodotte con maestria professionale dall’industria internazionale della menzogna.

Scrive Federico Povoleri in un pezzo dedicato ai meccanismi della disinformazione:

Le cose da considerare in questa storia sono allo stesso tempo importanti e quasi incredibili:
1) La capacità di raggiungere in pieno un obiettivo di disinformazione a livello internazionale;
2) L’accettazione acritica da parte dell’opinione pubblica di notizie che mancavano di fonti certe e attendibili;
3) L’incredibile capacità di penetrazione della notizia che crebbe a dismisura attraverso leggende e false notizie di supporto;
4) La dimostrazione di quanto un’informazione manipolata possa trasformare o addirittura costruire la realtà.

Il modello, sperimentato con successo in Romania, venne infatti utilizzato di nuovo, ed in grande stile, per altri quadranti del globo dove la sete di petrolio e di territori da conquistare imponevano sanzioni prima e interventi militari poi.

Vi ricordate le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, con i giornali che svelavano una compravendita di materiale radioattivo con un piccolo e sconosciuto paese africano mai avvenuta? Giornalisti affermati affermavano che nel Kuwait occupato i soldati iracheni al servizio di Saddam Hussein uccidevano i neonati nelle incubatrici

Prima ancora la fabbriche delle menzogne aveva funzionato egregiamente per giustificare i bombardamenti sulla Serbia e l’invasione della provincia del Kosovo. Si cominciarono a descrivere con dovizia di particolari le esecuzioni sommarie, le colonne di profughi bombardati dai caccia (questo avveniva davvero, solo che i caccia erano quelli della NATO decollati dalle basi militari italiane…), gli stupri di massa contro le donne kosovare, i villaggi distrutti.
Siccome le opinioni pubbliche si dimostravano ancora troppo tiepide nei confronti di un intervento militare di terra, si cominciò a parlare di milioni di profughi in pericolo di vita, di eccidi indiscriminati, di pulizia etnica.

A invasione conclusa le squadre forensi della FBI e della Polizia spagnola, inviate in Kosovo a caccia delle fosse comuni dove sarebbero stati sepolti decine di migliaia di civili kosovari, non ne trovarono, ma si imbatterono nei campi di prigionia e nelle sale della tortura allestite dai ‘liberatori’ dell’UCK, riconvertitisi nel frattempo nei nuovi padroni della provincia sottratta a Belgrado. (Vi consigliamo la lettura dell’articolo ‘La bufala delle fosse comuni in Kosovo. Assordante silenzio degli invasori ‘umanitari’, di John Pilger).

A quanto pare le smentite e le prove della manipolazione delle opinioni pubbliche da parte dell’industria della guerra non sono servite a molto. Anche di fronte a ciò che accadeva a Tripoli, il meccanismo all’opera è sempre lo stesso e le opinioni pubbliche – soprattutto quelle più sensibili alle tematiche umanitarie e orientate a ‘sinistra’ – sembrano accettare le varie ‘informazioni’ riportate dai media senza porsi particolari domande sulla loro veridicità.
Che la maggior parte di queste siano precedute dal ‘sembra che…’, ‘si dice che…’, testimoni che vogliono rimanere anonimi affermano che…’ poco importa. Il meccanismo emotivo prende il sopravvento e rende alle cancellerie occidentali molto facile giustificare operazioni militari presentate come finalizzate a proteggere le popolazioni mentre in realtà mirano ad intervenire in territori dalle quali gli interessi dell’imperialismo erano stati esclusi od in parte limitati.
Paradossalmente sono spesso ingenue (o a volte prezzolate) Ong e associazioni di massa a pressare i governi affinché intervengano il prima possibile con sanzioni o interventi militari contro i regimi responsabili degli eccidi.

Nel caso della Libia milizie armate fino ai denti e ben organizzate vengono descritte come ‘manifestanti inermi’; non ci sono colonne di centinaia di migliaia di profughi che tentano di fuggire verso i paesi confinanti eppure la notizia continua a rimbalzare sui media italiani ed esteri; le cifre dei morti – che evidentemente comprende anche quelli di parte governativa – crescono iperbolicamente senza che se ne abbia nessuna conferma, e per giustificare che le strade non sono lastricate di cadaveri come detto da alcuni ‘testimoni oculari’ via facebook o via twitter alcuni quotidiani hanno affermato che i mercenari avrebbero scaricato i morti nel deserto gettandoli dagli aerei… Ma le prime crepe nel meccanismo della produzione di massa delle bufale di guerra cominciano ad aprirsi. E non solo sui media alternativi o più critici nei confronti del meccanismo dominante.
Il Manifesto ha poi riportato questa notizia:

“Su nostra sollecitazione si è avuta la smentita ufficiale della Corte Penale Internazionale che il signor Sayed Al Shanuka o El-Hadi Shallouf non figurano né come impiegati né come responsabili di organi della Corte Penale Internazionale. Si tratta di un gravissimo episodio di disinformazione poiché da tali individui era stata fatta arrivare tramite la Tv Al Arabiya la notizia di 10 mila morti e di 50 mila feriti”.

La denuncia, incredibilmente, arriva da alcuni esponenti del Partito Radicale, in prima fila nel chiedere un intervento deciso dell’Europa contro Gheddafi… Possibile che nessuno a Rainews 24, che ha dato per due giorni in tutti i suoi notiziari questa cifra sulla vittime, si sia preoccupato di verificarne la veridicità? Possibilissimo…
Anche sui tanto sbandierati bombardamenti aerei sui civili nei quartieri di Tripoli e Bengasi, più volte smentiti dagli italiani arrivati in Italia dalla Libia e da numerosi testimoni – questa volta forniti di nome e cognome – qualche dubbio ce lo ha anche il corrispondente de La Repubblica.

Inoltre sul quotidiano in edicola oggi scrive l’inviato a Tripoli Salvatore Nigro : “Un libico (…) guardando le foto delle fosse in cui sono state sepolte alcune delle vittime dice: “Non è una fossa comune, è uno dei cimiteri di Tripoli vicino al mare, si vedono anche le sepolture più vecchie sullo sfondo”. Ma ormai è chiaro: nella guerra contro Gheddafi ci sono delle notizie diffuse senza controllo, rilanciate e trasformate in fatti veri”…
Dicendo questo non vogliamo assolutamente negare la gravità di quello che sta accadendo a Tripoli: in Libia sono in atto cruenti combattimenti tra due fazioni delle classi dirigenti all’interno di un sistema tribale che la rivoluzione di Gheddafi, degradatasi da anni in dittatura personale e famigliare, non è riuscita a scalzare.
Come accade spesso nelle zone di guerra i civili sono i primi a fare le spese della violenza.
Il problema è non lavorare, come si dice in questi casi, per il ‘re di Prussia’, avallando un intervento militare e neocoloniale contro il popolo libico – mascherato da operazione umanitaria – che rappresenta esattamente il contrario rispetto a quelle aspirazioni alla libertà, alla democrazia e alla giustizia sociale che stanno animando le rivolte dei popoli e dei lavoratori in tutto il Maghreb e nella penisola arabica.

Fonti: http://www.radiocittaperta.it/index.php?option=com_content&task=view&id=5985&Itemid=9

Romania, Iraq, Kosovo… Libia: nelle fosse comuni si seppellisce la verità

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TROVATE O NO DELLE SIMILITUDINI?

È come se ogni volta si recitasse uno stesso e identico copione in cui cambiano solo gli attori (da sacrificare), eccetto quelli principali (che ne escono sempre con le mani pulite e da “salvatori”).