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PRIMO CONVEGNO DELL’ASSOCIAZIONE “DANNI COLLATERALI”

Domenica 6 maggio, si è tenuto a Roma il primo convegno sui danni collaterali dati dai vaccini. Al convegmo sono presenti professionisti di vari settori e tra questi anche il Dott. Giovanni Frajese il quale, di recente, è stato come altri sospeso dall’ordine dei medici non perché abbia mancato di soccorrere persone malate, anzi, ma perché non si è piegato al ricatto vaccinale; ma noi siamo in democrazia, di cosa ci meravigliamo?

Consiglio caldamente l’ascolto dei vari interventi perché li ritengo preziosi ed è importante divulgarli perché i danneggiati da vaccino ESISTONO, sono una REALTÀ, ma si fa finta di non vederli, trovandosi quindi soli e abbandonati dai medici e dallo Stato dopo essere stati pressati in tutti i modi.

Il convegno nei video è diviso in due parti, è lunghetto, ma veramente ne vale la pena.

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Le famose fosse comuni

Di Maurizio Vezzosi, fotoreporter

Come ho già scritto, negli ultimi giorni ho visitato entrambi i luoghi – Stary Krim e Mangush – dove secondo l’ormai – de facto – ex sindaco di Mariupol si troverebbero fino a novemila vittime civili sepolti in presunte fosse comuni: per quello che mi è dato sapere nessun altro giornalista italiano ha visitato, almeno fino a l’altro ieri, i luoghi in questione.

Nell’ultima puntata di Controcorrente è andato in onda un servizio sul tema delle presunte fosse comuni con la mia firma e alcune delle mie immagini. L’altro nome con cui è stato firmato il servizio è quello di Gianni Sileo, giornalista che non conosco e con cui mai ho collaborato. Non so dire se la voce del servizio sia sua o di un’altra persona: quel che è certo è che. per ragioni a me non note, nessuno della redazione di Controcorrente ha tenuto conto di quanto da me rilevato sul campo e da me riferito prima di mandare le immagini per il servizio.
Non appena rientrato da Mangush ho avvertito la redazione del fatto che utilizzare l’espressione “fossa comune” risultasse del tutto improprio e che le sepolture in questione riguardassero un cimitero. Ma paradossalmente, il servizio firmato con il mio nome spiega che a Mangush “e’ stata trovata un’enorme fosse comune con centinaia di corpi, di uomini donne e bambini che sarebbero stati uccisi o morti di stenti senza cibo né acqua per oltre un mese” senza chiarire su quali fatti si basino queste affermazioni, o meglio lasciando intendere di averle ricevute dal proprio inviato, ossia da me.

Il montaggio del servizio – curato dalla redazione – non ha lasciato spazio ad alcun mio racconto dei fatti, omettendo che si tratta di due aree cimiteriali, che si tratta di sepolture individuali, che tra le persone sepolte ci sono anche militari ucraini caduti in battaglia, che non c’è stata alcuna esecuzione di massa deliberata o episodio analogo, che non c’è alcun indizio che indichi l’intento di occultare le vittime sepolte, che i numeri delle sepolture sono ben diversi da quelli di cui ha parlato l’ormai ex sindaco di Mariupol Vadim Boychenko: numeri nei fatti inferiori alle mille sepolture complessive, tra il cimitero di Mangush e quello di Stary Krim. Un numero che certamente non corrisponde al numero totale delle vittime della battaglia di Mariupol, sepolte anche in aiuole, giardini condominiali e spartitraffico, e in parte ancora in attesa di trovare sepoltura.
Vale la pena ricordare che Vadim Boychenko è fuggito da Mariupol prima che cominciasse l’attacco russo – a febbraio -, che quindi non si trova a Mariupol da oltre due mesi e che non ha mai chiarito quali fonti avvalorino le sue dichiarazioni e quelle del “Consiglio municipale di Mariupol” che fa a lui riferimento.
Le immagini che ho fatto avere alla redazione includono le interviste con due donne che si stavano prendendo cura delle tombe dei propri cari nel cimitero di Mangush: evidentemente la redazione di Controcorrente non le ha ritenute significative.
A Stary Krim, dove si trova il principale cimitero di Mariupol, ho potuto assistere ad alcune delle sepolture in questione ed intervistare un operaio che se ne stava occupando.
Mancando di dare i minimi ragguagli sulle presunte “altre duecento fosse comuni rinvenute”, il servizio si giova della mia presenza in loco per avvalorare le dichiarazioni di una delle parti coinvolte in questo conflitto e dare conferma della loro validità assoluta ed evidentemente indiscutibile,
Professionalmente è del tutto inaccettabile che il mio lavoro da inviato sul campo venga utilizzato tacendo su un’evidenza palese e venga al contempo distorto per dare conferma di una versione dei fatti priva di fonti e di qualunque ragionevole fondamento. Sono convinto che l’accaduto sia del tutto slegato dalla volontà dei vertici di Rete 4 e ancor più da quelli dell’azienda a cui fa riferimento il canale.

Particolarmente spiacevole per me è che questa vicenda si consumi ad una settimana dalla decontestualizzazione di una parte del mio precedente servizio per la medesima trasmissione, servizio che si proponeva di raccontare, insieme al presente, la strage di Mariupol del 2014.
L’accaduto costituisce l’ennesima forzatura narrativa sulle vicende ucraine: una forzatura che contribuisce ad alimentare un clima volto a compromettere la possibilità di una qualunque soluzione diplomatica, e con questa, l’auspicabile fine della guerra.
Insieme a queste considerazioni intendo ribadire che non esistono guerre gentili o raffinate.
La tragedia di Mariupol, come quella dell’intero Donbass e dell’intera Ucraina, poteva e doveva essere evitata. Professionalmente, e umanamente, ho il dovere di fare tutto quello che è nelle mie possibilità per scongiurare nuove tragedie: molto più semplicemente, ho il dovere di dire la verità.

Nella foto: l’anziana che ho intervistato al cimitero di Mangush. Sullo sfondo le sepolture che l’ormai ex sindaco di Mariupol ha definito fosse comuni.

Maurizio Vezzosi
Italian freelance analyst, reporter


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LE FOSSE COMUNI… NON LE ABBIAMO GIÀ INCONTRATE?

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L’episodio che più impatto ebbe sull’opinione pubblica italiana e occidentale fu il ‘massacro di Timisoara’ del Natale del 1989. Per giorni si parlò di un vero e proprio eccidio costato la migliaia di civili inermi, passati per le armi dalle truci milizie del regime nella città romena, e le immagini di ‘migliaia’ di cadaveri sepolti in una ‘fossa comune’ fecero più volte il giro del mondo diventando il simbolo di quanto accadeva in uno dei paesi dell’Europa orientale che si stava liberando dall’odiato comunismo di stampo sovietico. Ad un certo punto comparve anche un filmato che mostrava i primi corpi riesumati con evidenti tracce di “torture spaventose”; i cadaveri avevano in comune un taglio malamente ricucito che andava dal collo all’inguine…
Il presunto eccidio del Natale del 1989 a Timisoara, ‘incontrovertibilmente vero’ in quanto raccontato dalle tv e dai giornali di tutto il mondo con ‘testimonianze particolareggiate’ ed immagini a profusione, in poche settimane venne smascherato e divenne una delle bufale più inquietanti nella storia del giornalismo.
I cadaveri ritratti erano solo 13 ed erano morti di morte naturale. I segni delle torture erano in realtà conseguenza delle autopsie praticate da un medico legale. Niente stragi, niente fosse comuni. Il 24 gennaio del 1990 una tv tedesca e la France Press denunciarono la messa in scena: “Tre medici di Timisoara hanno affermato che i corpi di persone decedute in modo naturale sono stati prelevati dall’istituto medico legale e dall’ospedale per essere esposti alle telecamere come vittime della Securitate”.

Ma l’industria internazionale delle bufale non si diede per vinta, avendo sperimentato la facilità con cui qualche agenzia di stampa e qualche fotoreporter possono di punto in bianco, in assenza di prove e di conferme incrociate, creare un caso e mobilitare le opinioni pubbliche. E quindi fornire ai governi e agli Stati Maggiori di Washington e dell’Unione Europea il là per potersi imbarcare in bombardamenti umanitari, invasioni preventive, occupazioni democratiche.

Paradossalmente la censura, la verve propagandistica parca di notizie e il dilettantismo tipici dei media del paese preso di mira dalla ‘disinformatia’ contribuiscono a concedere credibilità alle esagerazioni e alle invenzioni prodotte con maestria professionale dall’industria internazionale della menzogna.

Scrive Federico Povoleri in un pezzo dedicato ai meccanismi della disinformazione:

Le cose da considerare in questa storia sono allo stesso tempo importanti e quasi incredibili:
1) La capacità di raggiungere in pieno un obiettivo di disinformazione a livello internazionale;
2) L’accettazione acritica da parte dell’opinione pubblica di notizie che mancavano di fonti certe e attendibili;
3) L’incredibile capacità di penetrazione della notizia che crebbe a dismisura attraverso leggende e false notizie di supporto;
4) La dimostrazione di quanto un’informazione manipolata possa trasformare o addirittura costruire la realtà.

Il modello, sperimentato con successo in Romania, venne infatti utilizzato di nuovo, ed in grande stile, per altri quadranti del globo dove la sete di petrolio e di territori da conquistare imponevano sanzioni prima e interventi militari poi.

Vi ricordate le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, con i giornali che svelavano una compravendita di materiale radioattivo con un piccolo e sconosciuto paese africano mai avvenuta? Giornalisti affermati affermavano che nel Kuwait occupato i soldati iracheni al servizio di Saddam Hussein uccidevano i neonati nelle incubatrici

Prima ancora la fabbriche delle menzogne aveva funzionato egregiamente per giustificare i bombardamenti sulla Serbia e l’invasione della provincia del Kosovo. Si cominciarono a descrivere con dovizia di particolari le esecuzioni sommarie, le colonne di profughi bombardati dai caccia (questo avveniva davvero, solo che i caccia erano quelli della NATO decollati dalle basi militari italiane…), gli stupri di massa contro le donne kosovare, i villaggi distrutti.
Siccome le opinioni pubbliche si dimostravano ancora troppo tiepide nei confronti di un intervento militare di terra, si cominciò a parlare di milioni di profughi in pericolo di vita, di eccidi indiscriminati, di pulizia etnica.

A invasione conclusa le squadre forensi della FBI e della Polizia spagnola, inviate in Kosovo a caccia delle fosse comuni dove sarebbero stati sepolti decine di migliaia di civili kosovari, non ne trovarono, ma si imbatterono nei campi di prigionia e nelle sale della tortura allestite dai ‘liberatori’ dell’UCK, riconvertitisi nel frattempo nei nuovi padroni della provincia sottratta a Belgrado. (Vi consigliamo la lettura dell’articolo ‘La bufala delle fosse comuni in Kosovo. Assordante silenzio degli invasori ‘umanitari’, di John Pilger).

A quanto pare le smentite e le prove della manipolazione delle opinioni pubbliche da parte dell’industria della guerra non sono servite a molto. Anche di fronte a ciò che accadeva a Tripoli, il meccanismo all’opera è sempre lo stesso e le opinioni pubbliche – soprattutto quelle più sensibili alle tematiche umanitarie e orientate a ‘sinistra’ – sembrano accettare le varie ‘informazioni’ riportate dai media senza porsi particolari domande sulla loro veridicità.
Che la maggior parte di queste siano precedute dal ‘sembra che…’, ‘si dice che…’, testimoni che vogliono rimanere anonimi affermano che…’ poco importa. Il meccanismo emotivo prende il sopravvento e rende alle cancellerie occidentali molto facile giustificare operazioni militari presentate come finalizzate a proteggere le popolazioni mentre in realtà mirano ad intervenire in territori dalle quali gli interessi dell’imperialismo erano stati esclusi od in parte limitati.
Paradossalmente sono spesso ingenue (o a volte prezzolate) Ong e associazioni di massa a pressare i governi affinché intervengano il prima possibile con sanzioni o interventi militari contro i regimi responsabili degli eccidi.

Nel caso della Libia milizie armate fino ai denti e ben organizzate vengono descritte come ‘manifestanti inermi’; non ci sono colonne di centinaia di migliaia di profughi che tentano di fuggire verso i paesi confinanti eppure la notizia continua a rimbalzare sui media italiani ed esteri; le cifre dei morti – che evidentemente comprende anche quelli di parte governativa – crescono iperbolicamente senza che se ne abbia nessuna conferma, e per giustificare che le strade non sono lastricate di cadaveri come detto da alcuni ‘testimoni oculari’ via facebook o via twitter alcuni quotidiani hanno affermato che i mercenari avrebbero scaricato i morti nel deserto gettandoli dagli aerei… Ma le prime crepe nel meccanismo della produzione di massa delle bufale di guerra cominciano ad aprirsi. E non solo sui media alternativi o più critici nei confronti del meccanismo dominante.
Il Manifesto ha poi riportato questa notizia:

“Su nostra sollecitazione si è avuta la smentita ufficiale della Corte Penale Internazionale che il signor Sayed Al Shanuka o El-Hadi Shallouf non figurano né come impiegati né come responsabili di organi della Corte Penale Internazionale. Si tratta di un gravissimo episodio di disinformazione poiché da tali individui era stata fatta arrivare tramite la Tv Al Arabiya la notizia di 10 mila morti e di 50 mila feriti”.

La denuncia, incredibilmente, arriva da alcuni esponenti del Partito Radicale, in prima fila nel chiedere un intervento deciso dell’Europa contro Gheddafi… Possibile che nessuno a Rainews 24, che ha dato per due giorni in tutti i suoi notiziari questa cifra sulla vittime, si sia preoccupato di verificarne la veridicità? Possibilissimo…
Anche sui tanto sbandierati bombardamenti aerei sui civili nei quartieri di Tripoli e Bengasi, più volte smentiti dagli italiani arrivati in Italia dalla Libia e da numerosi testimoni – questa volta forniti di nome e cognome – qualche dubbio ce lo ha anche il corrispondente de La Repubblica.

Inoltre sul quotidiano in edicola oggi scrive l’inviato a Tripoli Salvatore Nigro : “Un libico (…) guardando le foto delle fosse in cui sono state sepolte alcune delle vittime dice: “Non è una fossa comune, è uno dei cimiteri di Tripoli vicino al mare, si vedono anche le sepolture più vecchie sullo sfondo”. Ma ormai è chiaro: nella guerra contro Gheddafi ci sono delle notizie diffuse senza controllo, rilanciate e trasformate in fatti veri”…
Dicendo questo non vogliamo assolutamente negare la gravità di quello che sta accadendo a Tripoli: in Libia sono in atto cruenti combattimenti tra due fazioni delle classi dirigenti all’interno di un sistema tribale che la rivoluzione di Gheddafi, degradatasi da anni in dittatura personale e famigliare, non è riuscita a scalzare.
Come accade spesso nelle zone di guerra i civili sono i primi a fare le spese della violenza.
Il problema è non lavorare, come si dice in questi casi, per il ‘re di Prussia’, avallando un intervento militare e neocoloniale contro il popolo libico – mascherato da operazione umanitaria – che rappresenta esattamente il contrario rispetto a quelle aspirazioni alla libertà, alla democrazia e alla giustizia sociale che stanno animando le rivolte dei popoli e dei lavoratori in tutto il Maghreb e nella penisola arabica.

Fonti: http://www.radiocittaperta.it/index.php?option=com_content&task=view&id=5985&Itemid=9

Romania, Iraq, Kosovo… Libia: nelle fosse comuni si seppellisce la verità

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TROVATE O NO DELLE SIMILITUDINI?

È come se ogni volta si recitasse uno stesso e identico copione in cui cambiano solo gli attori (da sacrificare), eccetto quelli principali (che ne escono sempre con le mani pulite e da “salvatori”).

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Pfizer lo scrive chiaro e tondo

“Il nostro vaccino COVID-19 e qualsiasi altro prodotto candidato per il quale riceviamo l’approvazione o l’autorizzazione all’uso di emergenza sono soggetti a un controllo normativo continuo, inclusa la revisione di ulteriori informazioni sulla sicurezza

Il nostro vaccino COVID-19 viene utilizzato dai pazienti come prodotto autorizzato più ampiamente di quanto non sia stato utilizzato negli studi clinici e pertanto dopo l’autorizzazione all’uso di emergenza possono essere osservati effetti collaterali e altri problemi che non sono stati osservati o previsti, o non erano così diffusi o gravi, durante gli studi clinici

Non possiamo garantire che non si verifichino problemi di sicurezza scoperti o sviluppati di recente

Con l’uso di qualsiasi vaccino da parte di un’ampia popolazione di pazienti, di tanto in tanto possono verificarsi eventi avversi gravi che non si sono verificati nelle sperimentazioni cliniche del prodotto o che inizialmente sembravano non correlati al vaccino stesso e solo con la raccolta di successive informazioni sono risultati essere causalmente correlati al prodotto

Eventuali problemi di sicurezza di questo tipo potrebbero indurci a sospendere o cessare la commercializzazione dei nostri prodotti approvati, eventualmente sottoporci a responsabilità sostanziali e influire negativamente sulla nostra capacità di generare entrate e sulla nostra condizione finanziaria. La successiva scoperta di problemi precedentemente sconosciuti con un prodotto potrebbe influire negativamente sulle vendite commerciali del prodotto, comportare restrizioni sul prodotto o portare al ritiro del prodotto dal mercato.”

Questo è scritto a Pag. 9 del rapporto annuale stilato dalla Biontech, produttrice del “vaccino” Pfizer.

Vi sembra poco? A me no!

Il documento:

https://investors.biontech.de/node/11931/html

Segnalato anche da Radio Radio Tv con intervento del Dott. Giovanni Frajese e dell’Avv. Renate Holzeisen:

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Analisi critica di Zory Petzova

Un altro luogo comune da sfatare è che il conflitto in Ukraina sia espressione di uno scontro di civiltà, dove da un lato abbiamo l’atlantismo democratico-progressista, simboleggiato e difeso dall’Ukraina, mentre dall’altro l’assolutismo euroasiatico conservatore, rappresentato dalla Russia. Per mantenere questa narrazione, il mainstream accademico/mediatico cerca di attribuire ed enfatizzare, e a volte ad inventate, presunte differenze e incompatibilità culturali fra i due schieramenti. Questa contrapposizione, che non è altro che l’ennesimo schema duale applicato su macro-scala, segue la teoria dell’influente politologo americano Huntington (The Clash of Civilizations), secondo cui, con la fine della Guerra fredda, gli Stati del mondo sarebbero passati dall’immobilità del bipolarismo politico e ideologico, imperniato sugli Usa e l’Urss, a una situazione molto più dinamica e mutevole, dove i conflitti, caratterizzati da maggiore frequenza e violenza, si sarebbero verificati proprio sulla linea delle divergenze culturali, e dove sarà sempre più la cultura, e non la politica e gli Stati, il luogo dello scontro. Quindi, secondo Huntington, le nazioni occidentali potrebbero perdere il loro predominio sul mondo qualora non fossero in grado di riconoscere la natura inconciliabile di questa tensione. Da parte nostra, da lettori e testimoni, è doveroso costatare come la teoria di uno dei massimi esperti di relazioni internazionali fosse faziosa e poco fondata sulla reale conoscenza dei popoli, e che attualmente l’unica utilità di tale teoria è dare alibi ai conflitti militari in corso, spiegandoli attraverso l’incompatibilità culturale delle parti in gioco. Huntington, non essendo più in vita, non potrà smentire la propria tesi, ma la storia recente ha dato palesemente più ragione al suo collega e opponente Fukuyama.

Il politologo statunitense dal nome giapponese prevedeva che il crollo del Muro di Berlino avrebbe dato l’inizio dell’imporsi di un unico modello politico-economico su scala globale, ossia il modello liberal-democratico occidentale, fondato sui diritti dell’uomo, che avrebbe superato la devianza dei totalitarismi precedenti e decretato la fine dell’evoluzione della storia, in quanto nulla di nuovo sarebbe immaginabile dopo l’apice di uno sviluppo che si mostra ottimale per tutti gli Stati e individui. Possiamo dire che, effettivamente, nulla sarebbe più auspicabile per i popoli del modello democratico-liberale, ed è ciò verso cui tendono spontaneamente tutti gli individui, solo che l’errore iniziale di Fukuyama è stato di aver sopravaluto la buona fede di governanti ed élite, in quanto questi hanno effettivamente converso verso l’instaurazione di un unico modello di Stato, solo che non quello liberal-democratico, bensì un modello inedito, tendente verso un totalitarismo tecnocratico ibrido, che lo stesso Fukuyama preannuncia nei suoi saggi successivi, smussando l’iniziale entusiasmo.

Dopo la caduta del Muro di Berlino, ciò che si verifica fra la Russia e l’Occidente, arricchito delle nuove acquisizioni degli ex paesi di regime, non è uno scontro fra diverse matrici culturali, ma un ripristino della storica unità culturale, nella cui la Russia e l’Europa sono non solo speculari, ma difficilmente separabili nelle influenze e le rivendicazioni culturali. Dall’inizio del modernismo non esiste alcuna linea di confine culturale, tanto è che diverse fra le più importanti scuole e correnti – come il futurismo, il costruttivismo, il genere fantascientifico nelle sue varie declinazioni, il realismo collettivista, l’arte e la grafica industriali e di propaganda – nascono nella società russa o sovietica, per influenzare quasi simultaneamente quella europea; per non parlare poi della produzione letteraria e musicale, sia quella classica che quella post rivoluzionaria, che determina i criteri e i modelli più alti di tutta la cultura europea. Il contagio culturale fra Europa e Russia è bidirezionale, in quanto il pionierismo non ha una patria nazionale o geografica ben definibile, e anche su livello tecno-scientifico russi e occidentali sono perfettamente compatibili, interscambiabili e cooperanti da secoli, uniti nei programmi spaziali, dove sarebbe difficile, anche se auspicabile, trovare qualche sostanziale differenza d’approccio.

Oggi, per mantenere in vita la retorica pompata dello scontro culturale, si gioca la carta della religione, dove alla Russia viene attribuita la rinascita delle tradizioni e dei valori cristiano-ortodossi, in contrapposizione alla mentalità progressista e tecno-scientista dominante nell’Occidente e sbandierata perfino dal Vaticano. Come simbolo del neo-conservatismo religioso russo viene presentato il filosofo Alexander Dugin, battezzato persino come l’ideologo di Putin (un dato largamente smentito), ma lo stesso fatto che Dugin sia conosciuto molto più in ambienti culturali europei che in patria, è la prova lampante della faziosità di tale contrapposizione culturale. Oltre ad essere fautore del panslavismo – una bizzarra ideologia nazionalista fondata più su un paganesimo sciamanico che sul cristianesimo ortodosso, Dugin ha una bassa popolarità in Russia, confermata da una percentuale vicina allo zero degli elettori del suo partito. L’ala dell’estrema destra russa, verso cui graviterebbe la sua piattaforma ideologica, è speculare a un qualsiasi movimento di destra radicale di matrice europea. La Russia è un paese con abbondante proliferazione e varietà di movimenti e organizzazioni politiche ed ideologiche, e presentare come sua caratteristica culturale qualcosa che raccoglie una bassissima percentuale di questa varietà è piuttosto fazioso e manipolatorio. Lo stesso Putin, pur apparendo in immagini-status di ritualità religiosa, è un leader alquanto pragmatico e razionale, scevro di ogni ridondanza religioso-escatologica, né più né meno di un qualunque altro governante europeo che rispetta le ricorrenze religiose della propria tradizione.

Un altro tema su cui è stata investita tantissima propaganda mediatica, ai fini di persuadere l’opinione pubblica sul presunto abisso culturale fra l’Occidente e la Russia, è quello delle libertà sessuali e l’ideologia LGTB, laddove Putin e il governo russo vengono additati come acerrimi nemici dell’omosessualità. Nulla di più falso di questo. Lo stesso Putin ha dovuto specificare più di una volta, non senza un certo imbarazzo, che l’omosessualità è altamente tollerata in Russia, persino nell’esercito, ma ciò che viene vietato è la diffusione dell’ideologia gender e le manifestazioni di gay pride, per non traumatizzare precocemente lo sviluppo sessuale degli adolescenti. Strano che nessun media occidentale abbia mai informato il proprio pubblico sul fatto che la società russa misurasse una percentuale piuttosto alta di omosessualità, e che i più grandi e frequentati club e discoteche per incontri promiscui ed omosessuali sul territorio europeo si trovano proprio a San Pietroburgo. Attribuire poi a una società post comunista bigottaggine e puritanesimo sessuale è piuttosto da ignoranti, visto che il regime sovietico già per sua costituzione non ha mai applicato alcuna normativa di repressione sessuale, ma è stata proprio la caduta del regime a sdoganare ogni residuo di tabù. Un certo tradizionalismo patriarcale può essere riconosciuto alle popolazioni russe di religione musulmana, ovviamente, ma tali diversità culturali sono strutturali a tutte le società occidentali. Quello che desta sospetto è che una problematizzazione piuttosto innaturale e forzata delle tematiche sessuali e di libertà di genere nell’Occidente mirasse a creare un maggior contrasto con la società russa, ma tale contrasto non sussiste, se non nel mero esibizionismo di spettacolarizzazione pubblica delle tendenze gender, per cui dovremo chiederci a chi e a quale scopo serve trarre in inganno la pubblica opinione degli europei.

Anche sul tema del nazionalismo si gioca la stessa finta separazione fra russi e occidentali. Eppure, il conflitto bellico è servito proprio a dimostrare come tutte le società moderne siano uguali, perché nel momento in cui il governo russo ha convocato in servizio i riservisti, fra i cittadini russi si è verificata una vera e propria fuga dal paese, come è accaduto anche in Ukraina, e come sarebbe accaduto in qualsiasi altro paese europeo, al netto della criminale imposizione della legge marziale. In Russia non esiste alcun patriottismo e amore di patria tali da convincere i giovani a sacrificare la propria vita in guerra, perché i valori del passato, quelli del coraggio e la fierezza di difendere la propria nazione, sono stati sostituiti dai valori della cultura consumistica, quella che giustamente desidera un’esistenza pacifica, gratificante e ricca di stimoli edonistici, cultura investita da comunità virtuali che usano gli stessi social network, ascoltano la stessa musica e ammirano le stesse icone di successo. Quali sarebbero le insormontabili differenze culturali e politiche che secondo Huntington avrebbero dovuto portare allo scontro fra la Russia e l’Occidente? Si tratta solo di propaganda, quando in realtà i motivi dei conflitti sono ben diversi. Per dovere di cronaca, bisogna ricordare che gli Stati Uniti sono stati il primo esempio di passaggio da un esercito di leva a un esercito professionale, dopo le numerose vittime della folle guerra in Vietnam, quando i giovani hanno iniziato a rinunciare dal dover combattere dall’altra parte del mondo per non si sa quale ideale. Oggi le enormi diseguaglianze fra élite e ceti comuni dovrebbe disincentivare ulteriormente il reclutamento militare: gli uomini comuni non sono più disposti a morire per governanti corrotti e privi di qualità umane. Solo società fortemente fanatizzate su base religiosa o ideologica possono registrare una militarizzazione di leva alta, e uno dei paesi più militarizzati attualmente (oltre l’anomalo caso ucraino di ingegneria sociale) è proprio l’Israele. È Israele il paese in maggior contrasto con la cultura pacifista dei popoli europei, e non la Russia. Il fatto che in Russia l’esercito privato di Wagner si stia sostituendo a quello nazionale di leva è indicativo del crescente astensionismo militare e di un nuovo spirito anarchico che non vuole più assoggettarsi al volere dei governanti.

Proprio per questi motivi i governanti dei paesi egemoni sono sempre più solidali e sintonizzati fra loro, pur sfidandosi apparentemente in guerra. La guerra è il motivo più formidabile per spostare denaro pubblico verso il settore militare-industriale e il personale degli eserciti professionali, i quali ad occorrenza potranno essere usati contro le popolazioni civili. Il militarismo non può accontentarsi dei nemici esterni, ma necessita anche di nemici interni, perché altrimenti non riuscirebbe ad ammortizzare i crescenti investimenti in nuove e sempre più sofisticate tecnologie. Alla fine, non possiamo non riconoscere l’infallibilità dello sguardo visionario di Fukuyama, solo che bisogna parafrasare la sua stessa logica più crudamente, senza troppi eufemismi concettuali: gli interessi del capitale, l’affarismo, il lobbying corporativo, a prescindere se di natura pubblica o privata, se di mercato o di Stato, se legali o illegali, dominano ovunque su scala globale, e nulla è in grado di frapporsi alla marcia del denaro, nessuna politica e nessun diritto. La corsa della storia è accelerata e unidirezionale, similmente a una macchina lanciata in avanti senza le dotazioni di sterzo, freno o retromarcia. Ne è stata una eclatante conferma l’emergenza pandemica, a cui la Cina, la Russia e l’Occidente hanno aderito a pari merito di estremismo e in piena complicità cospirazionista, mentre diversi paesi minori si sono distinti con inaspettato buon senso ed onestà professionale. Al vertice di Bali del G20, il discorso di Lavrov suona uguale a quello dei fanatici di Davos, con l’attestazione del pieno riconoscimento della sovranità istituzionale dell’OMS, alla quale viene preventivamente affidata ogni futura decisione in materia sanitaria. La legge della numerazione degli individui (sostitutiva del nome) e quindi della digitalizzazione di massa in Russia, con la rispettiva esclusione sociale dei non omologati, è del 2016 e precede qualsiasi iniziativa programmatica e giuridica europea in questa materia, così come il sistema di credito sociale cinese precede largamente quello abbozzato per la società occidentale dall’Agenda 2030.

La Cina e la Russia non sono i nemici dell’Occidente, ma i suoi partner più vitali e la conferma del fatto che le differenze culturali non sono tanto geografiche quanto interne, sono quelle fra i popoli e le loro élite, e che senza la possibilità di controllo dal basso tutti i governi attuali, in particolar modo quelli di vocazione oligarchica e guerrafondaia, sono ugualmente illegali.

(di Zory Petzova)

Pubblicato in: Attualità

Ma di chi si sono fidati?

Veramente c’è gente che si è fidata di questi individui?

E ci sono ancora quelli che portano la museruola!

Bassetti oggi:

“come ho sempre sostenuto” (?)

Bassetti nel 2021…⤵️

Intanto mi è capitato un post…

Uno che ha capito troppo tardi…

Anni prima scriveva:

Il suo ultimo post su fb è stato questo…

Pubblicato in: Attualità

Dalla Commissione Europea

L’altro ieri compare un post su Facebook sulla Pagina della Commissione Europea.

The EU and NATO were already close partners before Russia’s war broke out. Now we are bringing our cooperation to the next level.

Today, we sign our new Joint Declaration that sends a strong message of unity and continued support for Ukraine.

Together with NATO, we are:

🔹 stepping up cooperation on emerging and disruptive technologies and space
🔸 intensifying work on countering hybrid and cyber threats and terrorism
🔹 addressing the looming security implications of the climate crisis
🔸 strengthening the resilience of our critical infrastructure

The Russian threat is the most immediate, but it is not the only one.
We witness China’s increasing attempts to reshape the global order to its benefit.

We must bolster our own resilience.

“L’UE e la NATO erano già stretti partner prima che scoppiasse la guerra della Russia. Ora stiamo portando la nostra cooperazione al livello successivo.

Oggi firmiamo la nostra nuova Dichiarazione Congiunta che invia un forte messaggio di unità e di continuo sostegno all’Ucraina.

Insieme alla NATO, dobbiamo:

🔹 intensificare la cooperazione su tecnologie e spazio emergenti e dirompenti
🔸 intensificare il lavoro di contrasto alle minacce ibride e informatiche e al terrorismo
🔹 affrontare le incombenti implicazioni sulla sicurezza della crisi climatica
🔸 rafforzare la resilienza della nostra infrastruttura critica

La minaccia russa è la più immediata, ma non l’unica.
Assistiamo ai crescenti tentativi della Cina di rimodellare l’ordine globale a proprio vantaggio.

Dobbiamo rafforzare la nostra resilienza.”

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Ci rendiamo conto della gravità di queste dichiarazioni? Il temibile nemico sarebbe la Russia? Poi ci citano anche la Cina…

Poi intratteniamo rapporti con l’Arabia Saudita, fingiamo di non vedere ciò che accade nello Yemen e in altri paesi… ma ci accorgiamo solo dell’Iran… eh già… gli altri paesi non sono un problema nostro, lì comandano gli americani… Ma l’Ucraina è diversa, è diversa perché è la scusante per fare guerra alla Russia e dopo anche alla Cina.

Pubblicato in: Attualità, Citazioni

Addio Ratzinger

[Ratzinger, la parola “anima” non c’era nel nuovo messale romano]

Un libro importante del 1977, Escatologia, rivisto dall’autore Joseph Ratzinger-Benedetto XVI nel 2006, quando ha impreziosito la riedizione con una aggiornata Premessa atta a spiegarne il lungo percorso. Leggiamo un passo dalla Premessa perché ci aiuterà a come interpretare e leggere il capitolo che andremo ad approfondire, inoltre veniamo così informati della grave crisi teologica interna alla Chiesa, inoltrandoci anche nella comprensione della nascita e sviluppo dell’enciclica di Benedetto XVI la Spe Salvi, i cui concetti restano gli stessi a fronte di una teologia sull’anima da riscoprire, rivalutare e ritornare ad insegnare.



Dalla Premessa

Dalla prima edizione del volume sono passati 30 anni e nel frattempo il cammino della teologia non si è fermato. Nel momento in cui il libro fu scritto, due profondi capovolgimenti stavano coinvolgendo gli sviluppi riflessivi riguardo al tema della speranza cristiana.

La speranza veniva compresa come virtù attiva, come azione che cambia il mondo, azione dalla quale sarebbe scaturita una nuova umanità, un “mondo migliore”. La speranza divenne in tal modo politica, la sua realizzazione sembrava essere affidata all’uomo stesso.

Il regno di Dio, attorno al quale tutto il cristianesimo ruota, sarebbe diventato il regno dell’uomo, il “mondo migliore” di domani: Dio non sta “in alto” ma davanti… (..)

La crisi della tradizione, che nella Chiesa Cattolica assunse toni virulenti in corrispondenza del Vaticano II, portò all’esigenza di strutturare la fede partendo esclusivamente dalla Bibbia, prescindendo dalla tradizione. Si concluse allora che nella Bibbia non si trovava il concetto dell’immortalità dell’anima, ma solo la speranza della risurrezione.

“L’immortalità dell’anima” doveva essere congedata come platonismo, si era sovrapposta, dunque, alla fede biblica della risurrezione. Grazie ad una curiosa filosofia che stabiliva l’impossibilità della presenza del tempo al di là della morte, si spiegò che la risurrezione doveva avvenire nella morte stessa.

Questa teoria ha conquistato velocemente anche il linguaggio della predicazione, tanto che in molti luoghi la celebrazione di preghiera per un defunto è stata chiamata “cerimonia della risurrezione”.

Nella mia “Escatologia” mi ero confrontato con entrambe le correnti, senza dimenticare i temi importanti per un manuale, temi di tutta la Tradizione del credere, sperare, pregare, temi di cui la storia della Chiesa è ricca.

Per quanto riguarda il primo tema, mi sembrava importante che l’escatologia non si lasciasse ridurre a nessun tipo di teologia politica. Ho ritenuto di potermi limitare all’essenziale dando un’indicazione del problema e ho cercato di evidenziare il significato permanente della speranza nell’azione propria di Dio entro la storia, azione che sola concede all’agire umano la propria unità interna e trasforma dall’interno ciò che è transitorio in ciò che non passa.

Ma un confronto più preciso con la questione della risurrezione “nella morte” era indispensabile; tale confronto costituisce il contenuto del cap. 5 di questo libro.

È legittimo prima di tutto riconoscere come la Bibbia non proponga alcuna concettualità antropologica con valore conclusivo, piuttosto essa si giova di svariati modelli concettuali.

È giusto inoltre ammettere come per la Bibbia il concetto centrale di speranza significhi “risurrezione”. Ma è altrettanto sicuro che la Bibbia non conosce l’idea di una risurrezione “nella morte”, anzi la respinge espressamente (leggasi 2Tim.2,18). Essa conosce piuttosto l’ “essere presso il Signore” tra la morte e la risurrezione. (cfr. per esempio Fil.1,23).

Io avevo cercato di tratteggiare come l’elaborazione di una concettualità antropologica mediante il ricorso alla formula di corpo e anima, secondo cosa è avvenuto nella tradizione ed è stato dichiarato nel concilio di Vienna (DH902), sviluppasse in maniera appieno conforme il dispositivo dell’antropologia biblica.

Su questo punto è sorta in seguito al mio libro una vivace discussione,nella quale la mia posizione fu contrassegnata semplicemente come difesa del platonismo.

In ambedue le appendici alla sesta edizione ho cercato di prendere posizione in modo dettagliato riguardo a simile discussione e ho pure ravvisato in modo riconoscente le riprese e le conciliazioni che ne derivavano, arricchendo con ciò il nostro pensiero circa le “ultime cose”. (..)

Non vorrei ancora una volta intercettare qui l’intera controversia, anche se desidero ribadire ancora una volta quale era e qual è tuttora per me la cosa più importante.

Innanzitutto non è una questione di concettualità o di “platonismo” ma di una concezione strettamente teo-logica della nostra vita oltre la morte – della nostra “vita eterna”, nel senso dell’insegnamento di Gesù.

Noi viviamo dunque poiché siamo associati alla memoria del Signore. Nella memoria del Signore noi non siamo un’ombra, un semplice “ricordo”, stare nella memoria del Signore significa “esserci”; vivere, vivere in pienezza, essere del tutto noi stessi.

(…)

Roma – Festa di Tutti i Santi 2006 – Joseph Ratzinger – Benedetto XVI

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“La mia opera meglio riuscita”, ebbe a dire Ratzinger, e chi ha letto il testo non può che fargli da eco soprattutto per la capacità che egli ha avuto di denunciare un così grave decadimento teologico e dottrinale interno alla Chiesa, a riguardo dell’anima.



dal Cap. V — Immortalità dell’anima e resurrezione dei morti

1. La problematica

L’interrogativo che negli ultimi decenni è sorto nella tematica dell’immortalità dell’anima e della risurrezione, trasformando gradualmente l’intero panorama della teologia e della religiosità, non potrebbe essere formulato più sinteticamente e più drammaticamente di quanto lo ha fatto Oscar Cullmann, il quale si è espresso come segue: “Domandate a un cristiano, protestante o cattolico, intellettuale o no, che cosa insegni il Nuovo Testamento sulla sorte individuale dell’uomo dopo la morte, e, salvo pochissime eccezioni, avrete sempre la stessa risposta: l’immortalità dell’anima. Eppure questa opinione, per diffusa che sia, è uno dei più gravi fraintendimenti che riguardano il cristianesimo” (Unsterblichkeit, p.19).

Ebbene, oramai soltanto ben pochi azzarderebbero questa risposta allora ovvia, poichè l’opinione che essa sia un malinteso si è diffusa con sorprendente rapidità tra le comunità cristiane, senza tuttavia che si fosse potuto sostituirla concretamente con una nuova risposta. Pionieri di questo nuovo atteggiamento furono i teologi protestanti Carl Stange (1870-1959) e Adolf schatter (1852-1938), ai quali aderì ampiamente Paul Althaus, con la sua “Eschatologie” pubblicata nel 1921 in 1° edizione.

Rifacendosi alla Bibbia e a Lutero, si rifiutava come dualismo platonico il concetto di una separazione nella morte tra il corpo e l’anima qual è presupposta nella dottrina dell’immortalità dell’anima e si affermava che l’unico insegnamento biblico è quello che l’uomo perisce nella morte “con corpo e anima” e che soltanto così si conserva il carattere di giudizio e della morte, di cui la Bibbia parla con estrema chiarezza. Di conseguenza, non sarebbe cristiano parlare dell’immortalità dell’anima, ma si dovrebbe parlare unicamente della risurrezione dell’uomo intero e contrapporre alla religiosità corrente del morire e alla sua escatologia del cielo l’unica prospettiva della speranza cristiana, cioè quella dell’ultimo giorno.

Nel 1950, Althaus tentò di apportare alcune rettifiche a questa tesi, che nel frattempo si stava diffondendo rapidamente, e obiettò che anche la Bibbia conosce lo schema “dualistico”, che anch’essa non conosce soltanto l’attesa dell’ultimo giorno, ma una sorta di speranza individuale in un cielo futuro. Egli cercò di dimostrare che questa opinione era stata pure condivisa da Lutero. “L’escatologia cristiana – così si esprimeva – non ha dunque da combattere l’immortalità come tale. Lo scandalo che recentemente abbiamo dato più volte con questo nostro atteggiamento non è lo scandalo dell’Evangelo” (Retraktationem, 256).

(Naturalmente Ratzinger non è d’accordo e tenta dei chiarimenti con una denuncia molto grave, ndr.)

Benché nelle discussioni d’allora avessero trovato larghi consensi, queste affermazioni non avrebbero assunto grande importanza per quanto riguarda la discussione successiva. L’opinione che parlare dell’anima non sia un discorso biblico, s’impone al punto che perfino il nuovo Missale Romanum del 1970 ha bandito il terminus “anima” dalla liturgia dei Defunti; parimenti esso è scomparso dal rituale della sepoltura…. (confermò in altro discorso il cardinale Ratzinger che della notizia all’epoca ne fu preoccupatamente “sconvolto”, da qui anche l’affermazione nell’intervista a Messori – Rapporto della fede – che una certa “protestantizzazione” della Chiesa non era una semplice favola o una esagerazione, ma una triste realtà, ndr).

Ma che cosa ha potuto rivoluzionare tanto rapidamente una tradizione, che fin dai tempi della Chiesa antica era radicata saldamente ed era stata sempre considerata centrale? L’apparente evidenza del pensiero biblico da sola non vi sarebbe certo stata sufficente. E’ presumibile che l’efficacia delle “nuove” argomentazioni sia derivata in notevole parte dal fatto che la concezione definita “biblica” dell’assoluta indivisibilità dell’uomo collima con la moderna antropologia naturalistica, la quale vede l’uomo unicamente come corpo e non vuole sapere nulla di un’anima che ne possa essere separata.

Ma la prima considerazione che ne consegue è la seguente: sebbene la rinuncia al concetto dell’immortalità dell’anima elimini un potenziale punto conflittuale tra la fede e il pensiero moderno, ciò non salva tuttavia la Bibbia, poichè per la coscienza moderna la via biblica sembra ancora molto meno percorribile. L’unità dell’uomo – e sta bene – ma chi sarebbe in grado, visti i dati odierni della scienza naturale, di immaginarsi una resurrezione del corpo? Una tale resurrezione supporrebbe una materialità radicalmente nuova, un cosmo fondamentalmente cambiato; il che sorpassa del tutto i limiti della nostra capacità intellettiva.

Pure la domanda che cosa avvenga in tal caso nel periodo che precede la “fine dei tempi” non può essere semplicemente ignorata. La spiegazione data da Lutero, di un “sonno dell’anima”, non è certo una risposta che possa convincere!

Ma se non esiste un’anima, se di conseguenza non vi può essere un “sonno”, sorge il problema, “chi” allora potrebbe essere risvegliato? Come si forma l’identità tra l’uomo precedente e l’uomo che, a quanto pare, dovrà essere ricreato dal niente? Pur non condividendo tal pensieri, respingere con sdegno simili domande “filosofiche” non contribuirebbe certamente a dare una spiegazione a tutto ciò.

Per cui si comprese molto presto che qui il solo biblicismo non porta innanzi. Senza “ermeneutica”, cioè senza accompagnare il dato biblico con la ragione, che, collegando sistematicamente i pensieri, può portare anche sotto l’aspetto linguistico ben oltre il dato biblico come tale, non si ottiene nulla.

Volendo ora prescindere da tentativi radicali, che intenderebbero risolvere il problema opponendosi a tutte le affermazioni “oggettivanti” e ammettendo soltanto interpretazioni “esistenziali”, possiamo dire che sono state tentate due vie: formulando un nuovo concetto del tempo e interpretando in modo nuovo la corporeità.

La prima sfera concettuale s’avvicina a quelle riflessioni che abbiamo incontrato precedentemente al cap.3, 1a, e che sono connesse alla questione dell’attesa e della fine imminente. Avevamo visto che si cerca di risolvere questo problema richiamando il fatto che la “fine del tempo” come tale non è più tempo, che quindi non indica una futura data del calendario, bensì è “non-tempo”, per cui trovandosi fuori della temporalità, è vicina a ogni tempo in modo uguale. Da questo concetto si trasse la facile conclusione che, essendo anche la morte un “uscire dal tempo”, essa conduca all’atemporalità.

Nell’area cattolica questi concetti assunsero importanza per la discussione sul dogma dell’Assunzione corporea di Maria nella gloria celeste.

Lo sconcertante dell’affermazione, che un essere umano – Maria – è già ora risorto corporalmente, equivale quasi alla provocazione di verificare comunque il rapporto tra la morte e il tempo e di riesaminare il carattere della corporeità umana. Se fosse possibile vedere nel dogma mariano un caso emblematico di ogni sorte umana si risolverebbero contemporaneamente due problemi:

da un lato si supererebbe lo scandalo ecumenico e intellettuale del dogma, dall’altro lato, quest’ultimo stesso avrebbe aiutato a correggere le precedenti idee circa l’immortalità e la risurrezione a favore di concezioni più bibliche e più moderne.

Sebbene negli scritti recenti si cercherebbero invano approfondimenti chiari e coerenti del nuovo concetto, si può tuttavia dire che nel complesso si è imposta la tesi seguente: il tempo è una forma della vita fisica.

La morte significa uscire dal tempo e entrare nell’eternità, nel suo unico “oggi”. Di conseguenza, il problema dello “stadio intermedio” tra la morte e la risurrezione non è che un problema inconsistente. “Intermedio” esiste soltanto nella nostra ottica umana. In verità la “fine dei tempi” è atemporale; chi muore, entra nel presente dell’ultimo giorno, del giudizio, della risurrezione e della Parusia del Signore. Da qui la propagazione di un pensiero non cattolico: “Di conseguenza si può affermare, che la risurrezione avviene al momento stesso della morte e non soltanto nell’ultimo giorno”.

Questo concetto (“sbagliato”, come spiegherà più volte Ratzinger), che la risurrezione abbia luogo nel momento della morte, si è imposto al punto da essere accolto, con qualche clausola, pure in Hollandischen Katechismus, p. 525 (il fatidico Catechismo Olandese condannato da Paolo VI ma che purtroppo, per le linee morbide intraprese dal Vaticano II, non fu fatto ritirare ma correggere con delle Note aggiunte ai margini del testo): “L’esistenza dopo la morte è dunque già qualcosa come la risurrezione del nuovo corpo”. Il che significa: ciò che il dogma afferma di Maria vale per ogni uomo; a motivo dell’atemporalità che regna al di là della morte, per ogni uomo, morire vuol dire entrare nel cielo nuovo e nella terra nuova, entrare nella Parusia e nella risurrezione.

Qui sorgono tuttavia due domande, di cui la prima è questa: non si tratta forse qui di una velata restaurazione della dottrina dell’immortalità che, dal punto di vista filosofico, si fonda su supposizioni un tantino avventate? Infatti qui si presume la risurrezione già per l’uomo appena morto, per l’uomo che sta per essere portato alla tomba. L’indivisibilità dell’uomo e il suo legame con la sua vita fisica appena spenta, quest’indivisibilità che era stata il punto di partenza della tesi, sembra ora non avere più alcuna importanza. Per cui leggiamo in Hollandischen Katechismus: “Il Signore vuole… dire, che qualcosa, il “proprio” dell’uomo non è il cadavere che rimane…”. In modo più incisivo si esprime Greshake: “La materia in se stessa (come atomo, molecola, organo…) è imperfetta… quando perciò nella morte si determina in modo definitivo la libertà dell’uomo, in questa sua concretizzazione e determinazione finale sono insieme cancellati definitivamente il corpo, il mondo e la storia di questa libertà…”

Sebbene simili pensieri possano essere sensati, ci domandiamo tuttavia, con quale diritto si possa parlare ancora di “corporeità” quando si nega, esplicitamente, ogni rapporto con la materia, alla quale si concede di partecipare all’eternità solo in quanto è stata un “momento estatico d’un esercizio umano di libertà”.

In ogni caso anche in questo modello il corpo è abbandonato alla morte, mentre contemporaneamente viene affermata una sopravvivenza dell’uomo. Per cui la confutazione del concetto dell’anima perde la sua credibilità, poichè implicitamente vi si ammette l’esistenza di una “realtà” personale, separata dal corpo, il che è esattamente quanto aveva voluto esprimere il concetto dell’anima. Riguardo al problema della corporeità e dell’esistenza dell’anima rimane dunque una strana mescolanza di concezioni, che non si può certo accettare come definitiva.

La seconda domanda riguarda la filosofia del tempo e della storia, la quale rappresenta la leva del tutto: è davvero soltanto così che esiste quell’alternativa al tempo fisico e al non-tempo che viene identificata con l’eternità? E’ logicamente possibile collocare l’uomo, il quale ha vissuto il periodo determinante della sua esistenza nel tempo, nella struttura della pura atemporalità? Può, pertanto, un’eternità che ha un inizio essere eternità? Non è, qualcosa che ha un inizio necessariamente non-eterno, temporale? Ma come negare che la resurrezione dell’uomo ha “un inizio”, cioè che avviene dopo la sua morte? Se lo negassimo, la logica ci costringerebbe a concepire l’uomo come già risorto nell’ambito dell’eternità che non ha inizio; il che significherebbe contraddire a ogni seria antropologia e cadere praticamente proprio in quel platonismo che intendiamo combattere.

Ora, G. Lohfink, un sostenitore della tesi della risurrezione “nella morte stessa”, ha notato nel frattempo gli inconvenienti or ora esposti e ha cercato di porvi rimedio, richiamando il concetto medievale dell’aevum, il quale (partendo dall’analisi dell’esistenza dell’angelo) tenta di descrivere il particolare rapporto tra il tempo e lo spirito. Lohfink opina che la morte non introduce nel “non-tempo”, bensì in un nuovo tipo di temporalità che è propria dello spirito creato… (..)

… con queste argomentazioni gli interrogativi precedenti non sono affatto eliminati… l’aevum fornisce qualche informazione, ma non dice assolutamente nulla sul fatto che si possa considerare come già compiuto l’insieme della storia.

Fa uno strano effetto che un esegeta sostenga, per motivare queste speculazioni, che per Gesù, “secondo l’interpretazione paleocristiana, la morte è seguita immediatamente dalla risurrezione dei morti” e che con ciò “è dato il modello reale dell’escatologia cristiana”, ma che “il cristianesimo (qui intende la Chiesa) si è dimenticato di applicarlo, oltre che a Gesù anche agli altri”.

Anzitutto non si dovrebbe trascurare che il messaggio della “risurrezione al terzo giorno” evidenzia chiaramente una cesura tra la morte e la resurrezione; ma soprattutto è innegabile che da nessuna parte nell’annunzio paleocristiano la sorte di coloro che muoiono prima della Parusia risulta equiparata all’evento del tutto particolare della Resurrezione di Gesù, il quale consegue dalla posizione assolutamente unica e ineguagliabile che Gesù occupa nella storia della salvezza.

D’altronde occorre qui denunciare nuovamente un platonismo accentuato sotto un duplice aspetto: in primo luogo, in simili modelli il corpo viene privato definitivamente della speranza della salvezza e, in secondo luogo, con l’aevum l’ipostatizzazione della storia è minore rispetto alla teoria di Platone, soprattutto perchè manca di logica.

Può darsi che questa nostra esposizione sia riuscita un pochino troppo lunga. Tuttavia essa è necessaria di fronte al fatto che nella coscienza teologica queste teorie hanno trovato un’accoglienza pressoché unanime. Occorre far comprendere che questo consenso poggia su un terreno estremamente fragile. Un espediente ermeneutico tanto frammentario e complesso, pieno di crepe e di lacune, non potrà costituire una stabile base né per la teologia né per l’annunzio ed è in se stesso contraddittorio.



In definitiva, spiega Ratzinger, sostenere queste teorie è protestantizzare la dottrina cattolica, arrivare laddove voleva arrivare Lutero.

Provate a digitare su google.it immagini la parola “anima” o anime portate in cielo, vi accorgerete che non uscirà nulla di cattolico, nessuna immagine o immaginetta che possa ricondurre alla dottrina cattolica del termine anima, forse ne troverete una o due, non di più, difficilmente troverete la santa Messa quale supporto per le Anime dei Vivi e dei Defunti.

Fonte: https://cooperatores-veritatis.org/2012/11/02/ratzinger-la-parola-anima-non-cera-nel-nuovo-messale-romano/#:~:text=L’opinione%20che%20parlare%20dell,scomparso%20dal%20rituale%20della%20sepoltura%E2%80%A6.

ULTERIORI APPROFONDIMENTI SUL PENSIERO DI RATZINGER:

http://www.gliscritti.it/approf/2006/conferenze/benedetto06.htm#mozTocId734933

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Slovenia: il governo rimborserà le multe per violazione dei lockdown

Slovenia: il governo rimborserà le multe per violazione dei lockdown

Il governo sloveno rimborserà ai cittadini le multe comminate per violazione delle restrizioni imposte durante l’epidemia di Covid-19. A ufficializzarlo è stata la ministra della Giustizia, Dominika Švarc Pipan, che ha specificato che i rimborsi partiranno non appena verrà varata una legge apposita, verosimilmente entro gennaio, e che i rimborsi saranno effettuati d’ufficio, senza che i singoli soggetti coinvolti debbano farne richiesta. La decisione arriva dopo che le multe per violazione delle restrizioni pandemiche sono state giudicate incostituzionali. Per violazione del lockdown in Slovenia erano state comminate sanzioni per poco più di 5 milioni di euro, ma solo 1,7 milioni di euro erano stati realmente incassati, segno che due multati su tre avevano comunque rifiutato di pagare. Ora anche chi aveva saldato la multa subita sarà rimborsato.

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Ritorno al reale, di Vincenzo Costa



A volte si ha l’impressione di vivere in una sorta di delirio, in cui il principio di realtà svanisce, e il delirio diventa un criterio di razionalità, per cui chi contesta il delirio diventa, di volta in volta, un amico di dittatori, un putiniano, un nemico del progresso.

È caratteristico delle psicosi questo modo di esperire l’altro e le argomentazioni dell’altro.

In questo delirio che, grazie all’opera incessante dei media diviene la realtà e la moralità e il segno di essere “dalla parte giusta”, rientra negli ultimi tempi l’idea secondo cui la guerra in Ucraina può finire solo con il ritiro russo dal donbass e addirittura dalla Crimea.

Questo delirio non prende in esame almeno tre circostanze:

1) un’occupazione del donbass da parte dell’esercito ucraino, sotto il controllo dell’attuale regime di Kiev, porterebbe a una spietata pulizia etnica, forse nel silenzio dei media occidentali, per i quali oramai la realtà può essere costruita è venduta come si vuole. Già quanto succede a Kherson divrebbe fare riflettere, avrebbe dovuto suscitare una qualche reazione indignata da parte dei fautori dei diritti umani, almeno almeno la richiesta di osservatori ONU che controllino se non siano all’opera repressioni verso i “collaborazionisti”. Niente di tutto questo, ed ormai il regime di Kiev può pensare di essere al di sopra di ogni legge, di godere di una assoluta impunità, perché tanto i media occidentali oscurerebbero qualsiasi crimine da esso compiuto.

2) vi erano accordi (quelli di Minsk) che avrebbero dovuto garantire una certa autonomia al donbass, e l’Europa avrebbe dovuto garantire questo accordi. Per otto anni quegli accordi sono stati violati dal regime di Kiev, nel silenzio di Kiev e delle autorità europee, con una logica ipocrita che ha reso l’Europa priva di credibilità agli occhi del mondo. Il mondo ha ormai chiaro che i diritti umani vengono richiamati quando conviene, che i media occidentali sono strumenti di guerra e non di informazione. Riportano le notizie quando conviene, per fomentare disordini e dare visibilità e rendere possibili regime change. Mentre tacciono quando i regimi sono sanguinari ma utili alleati e gli interessi motivano il loro mantenimento al potere.

Così un principe sanguinario viene graziato, senza molto clamore, in certi paesi si fanno i mondiali di calcio, senza che vengano boicottati.

Ipocrisia come legge fondamentale della politica estera.

3) se veramente accadesse che i russi fossero costretti a ritirarsi dal donbass e dalla Crimea, questo non sarebbe la fine della guerra. Bisogna dire la verità alle persone: sarebbe l’inizio di una guerra micidiale.

Solo nel delirio si può credere che sarebbe la fine della guerra.

Se vi fosse un’Europa all’altezza della sua tradizione culturale, un’Europa che ha trasformato in coscienza la sua storia e ha tratto insegnamento da esso ci si dovrebbe adoperare per una pace giusta.

La pace giusta dovrebbe partire da un fatto: in certe regioni vivono tradizioni etniche, linguistiche e culturali diverse. Si tratta allora di chiedere e di imporre un principio: a chiunque appartengano quelle regioni le popolazioni che vi vivono devono poter conservare la loro lingua, la loro cultura, i loro legami storici.

Dati i fatti, sotto gli occhi di tutti, per cui il regime di Kiev chiede rimozioni di monumenti, cancellazione della lingua russa, della memoria storica, della letteratura russa, dato il fatto che mira a cancellare ogni traccia di Russia in Ucraina, e credo che si possa convenire che questa è follia ed è un nazionalismo che ricorda il nazismo e la pulizia etnica e culturale, qualcuno se la sente di sostenere che i diritti delle popolazioni russe sarebbero salvaguardare in Ucraina con l’attuale regime?

L’Europa vuole essere complice di quello che accadrebbe in seguito ad un eventuale (e improbabile) ritiro russo dal donbass e dalla Crimea?

Esattamente, per che cosa sta chiedendo sacrifici l’attuale dirigenza della UE?

Per la libertà dei popoli e per i diritti o contro la libertà dei popoli e il diritto?

Perché ormai è chiaro che non vi è alcuna pretesa russa di annettere l’ucraina e di privarla della propria sovranità.

La posta attuale è diversa: quale destino vogliamo sostenere per le popolazioni russe che vivono in Ucraina? O le popolazioni russe non hanno gli stessi diritti e sono razza inferiore, come pensa il regime di Kiev, che si considera europeo e considera i russi asiatici e discendenti dall’orda d’oro?

Non vi è un filo di razzismo? Qui l’universalismo dei diritti non conta più?

Riguardo alle discriminazioni cui sono soggette le popolazioni russe nei paesi baltici non vedo molte notizie nella stampa libera, ne’ sentì levarsi la voce indignata dei rappresentanti europei.

Non vorrei che fossero dei miserabili razzisti, solo subdoli, che usano i diritti universali per promuovere pratiche di discriminazione.

(Vincenzo Costa, professore ordinario alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Fenomenologia (triennale) e Fenomenologia dell’esperienza – biennio magistrale -. Si è laureato in filosofia all’Università Statale di Milano con lode.)

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Tra i punti del G20 di Bali

AL G20 MELONI TACE SUI VACCINI, MA SOTTOSCRIVE IL “GREEN PASS ETERNO” e gli Hub su Terapie mRNA promosse dal ministro Schillaci.

G20: punto 23 – pass sanitario ovunque; punto 24 – contrastare la disinformazione.

Notizie complete:


https://www.gospanews.net/2022/11/18/al-g20-meloni-tace-sui-vaccini-ma-sottoscrive-il-green-pass-eterno-e-gli-hub-su-terapie-mrna-cari-al-ministro-schillaci/

Il G20 approva l’introduzione di passaporti vaccinali e identità digitali globali